Mercoledì 3 aprile 2024 alle ore 21.00 fa tappa all’Alcatraz di Milano (via Valtellina 25) il tour Residui di Rock’n’Roll di Gianluca Grignani: un tour pensato per ripercorrere la sua trentennale carriera, con tutto il pubblico in piedi pronto a saltare sulle note rock di Grignani. Ad unire chi è sul palco e gli spettatori uno una scaletta ricca di hit da cantare a squarciagola e di grandi successi che hanno segnato la storia della musica italiana, da Destinazione Paradiso a La mia storia tra le dita, da La fabbrica di plastica a Quando ti manca il fiato, brano presentato a Sanremo 2023.
Autore best seller con La verità sul caso Harry Quebert, Joël Dicker è il protagonista di un mese di marzo molto ricco sul fronte delle uscite editoriali.
Va alla sua ultima fatica, Un animale selvaggio, la palma di romanzo più atteso, non fosse altro per il grande seguito di lettori e appassionati di cui gode, anche in Italia, lo scrittore svizzero. Nel commentare la nuova uscita, Elisabetta Sgarbi, publisher di La Nave di Teseo, si sofferma sulla "immaginazione sfrenata" dello scrittore e sul "controllo assoluto" dei dettagli della narrazione. Dicker "non lascia scampo - spiega -: quando si inizia questo romanzo si dimentica il mondo esterno e si viene trascinati nella sua storia".
A proposito di storie e attualità, Il suo nome è Bono Vox (LINEA-R, pag. 260) di Mimmo Parisi è sicuramente una narrazione che sembra quasi fuoriuscire dalle testate dei media di questi giorni legati al mistero della morte di Navalny. Infatti uno dei protagonisti del racconto ambientato proprio nella linea temporale che va dal 24 febbraio 2022 ai nostri giorni, ha come referente ideale l’oppositore e dissidente russo tornato nella sua terra per non tradire il suo credo nella libertà dei cittadini russi.
Trama del romanzo
In seguito all’invasione dell’Ucraina il vocalist Bono Vox e il chitarrista 'The Edge', attirano l'attenzione mondiale sull'evento. Intanto due fratelli ucraini, Sergey e Denys, trascorrono la loro infanzia in un decrepito istituto dell'est. Con l'amico Pyotr fanno l'esperienza di una fallimentare evasione. Ormai adolescenti sono adottati, il primo da un'aristocratica famiglia russa, il secondo da una ucraina.
Alcuni mesi prima che la Federazione Russa invada l'Ucraina, perdono i contatti. Sotto il chiasso malefico delle bombe, Denys incontra Alexandra, la ragazza che gli dà un motivo per non correre sbigottito contro il fuoco nemico. Nello scenario disperato del conflitto, i due fratelli riescono inaspettatamente a incontrarsi. Ma per Sergej quella è l'ultima volta. «Un romanzo deciso e attuale per una guerra inaspettata e inattuale.» Amilcare Fini, Notizia
Difficile credere che una dichiarazione simile sia uscita dalla bocca del solista dei Metallica: “Odio dire questa cosa per tutti i lettori là fuori” dice Kirk: “ma i non-musicisti, che sono la maggior parte degli ascoltatori, non ricordano gli assolo”.
Così si esprime un chitarrista che ha costruito buona parte della sua carriera e del suo personaggio proprio su dei precisi cliché stilistici, così fondati da fare scuola per tutta una generazione di musicisti a venire, al suono di note frullate in una distorsione estrema e wah wah sempre a portata di piede.
Il primato della canzone
Mentre le riflessioni sull’importanza delle composizioni non faticano a incontrare l’approvazione dei lettori, è proprio il commento sulla “memorabilità” di un assolo che ha fatto discutere, vedendo scendere in campo - sul web - anche celebri colleghi.
In particolare spicca la risposta di Angel Vivaldi che, sui social, controbatte: “Non potrebbe essere più lontano dalla verità. Se l’assolo è scritto da un autore e non da un chitarrista pigro che di adagia sulla memoria muscolare, il tuo assolo resterà con la gente per sempre”.
Non è un attacco personale ad Hammett, spiegherà poi Vivaldi in un post sulla sua pagina Facebook, ma la frecciatina non manca: “Nell’attimo in cui qualcuno cede a questo genere di pensiero, del tipo ‘Non c’è musica memorabile al giorno d’oggi’, sta solo gridando ‘Ho una mentalità chiusa e non cerco nuova musica da giudicare’.”
A difesa del chitarrista dei Metallica, si potrebbe obiettare che le persone ricordano molti più assolo di Hammett di quanti non ne conoscano di Vivaldi, ma questo non farebbe altro che continuare a smontare la tesi di Kirk. Insomma, un bel paradosso.
Addio Michelle è il NUOVO SINGOLO di Mimmo Parisi, il quale ritorna alla musica dopo un periodo di lontananza da essa. La canzone è ispirata a una ragazza che ha appena intravisto durante l’estate. Con loro – lei era con il ragazzo e si stavano lasciando – ha scambiato solo poche parole; un incontro estivo come tanti. Hanno argomentato vagamente di poche cose. Il cantautore ha letto negli occhi di Michelle, questo il nome della ragazza, l’inquietudine per quel loro amore che stava svanendo. Probabilmente ora lei, con l’inverno che nel suo cuore è giunto molto prima del 21 dicembre, è ritornata a Parigi o in qualche altra città francese. In Italia ha lasciato un incontro nemmeno tanto importante e una canzone, Addio Michelle.
Un'epoca di trasformazioni
Alla fine non importa il motivo della loro separazione, ciò che – in un’epoca di trasformazioni senza precedenti, in cui la digitalizzazione crea universi culturali e sentimentali nuovi – rimane inamovibile è quel sentimento, l’amore, che continua a creare e sciogliere legami. Ecco, Addio Michelle parla di un addio ma è costituita di parole che trattano di attenzione per l’amore che si desidererebbe per sempre. Addio Michelle è una ballad pop-rock toccante, in cui Parisi, con la sua consueta vena poetica, racconta i colori di un addio. I versi che compongono la parte testuale del brano presentano immagini facilmente riconoscibili; fanno parte dell’esperienza comune a tanti.
Difficilmente qualcuno è passato indenne da una situazione caratterizzata da una crisi sentimentale. L’autore riesce a descrivere la fase dell’addio con tocco lieve, come un affresco destinato più a ricordare una stagione di tristezza ma, comunque, valida in quanto pagina della propria vita. Vale la pena, tuttavia, indicare quanto il contesto dell’evento sia se possibile ancora più umbratile e senza sprazzi di luce: l’addio vissuto in un aeroporto, con un aereo che porta via la persona amata, è decisamente una situazione malinconica.
L' addio in un aeroporto
Infatti, l’aeroporto, è un ‘non luogo’, se contemplato in una classificazione extra urbana o in quanto servizio, ma nella canzone in questione diventa teatro di una scena ultima. Chi rimane a terra contempla il cielo grigio il quale, man mano che la sera irrompe, s’inscurisce sempre più: portandosi definitivamente via Michelle e le illusioni che le facevano da ancelle. Due esistenze hanno scelto di ripartire dal principio; probabilmente lei è diretta in Francia, spera in un altro domani. Lui rimane a terra, osserva fino all’ultimo la luce intermittente dell’aereo. Deve fare i conti con l’anima frantumata; anche per lui ci saranno novità nel futuro, ma al momento tutto quello che sa dire è, “Addio Michelle”.
«Ho scoperto solo pochi giorni fa che anche loro sono in Italia». Sai che qualche fan spera in una tua comparsata sul palco, vero? Ci sono dei commenti sotto le tue foto su Instagram… «Davvero?! Domani loro sono a Roma, ma io sarò in Sardegna».
Loro sono i Guns N’ Roses e colui che parla è Gilby Clarke, che nei GNR – li chiama spesso così, con le iniziali GI-EN-AR – ha suonato dal 1991 al 1994, sostituendo il chitarrista storico Izzy Stradlin all’apice del loro successo, durante l’infinito tour di Use Your Illusion.
È un caldissimo venerdì pomeriggio, siamo nel giardino del Legend Club, un locale alle porte di Milano. Gilby è appena atterrato dopo una settimana di vacanza in Sardegna con la moglie Daniella, hanno fatto un giro turistico in moto, altra sua grande passione oltre le chitarre e la musica.
Sessantun’anni il prossimo 17 agosto, dopo un grosso concerto-evento in Romania insieme ad altri Godz of Rock, stasera suona qui, domani prende un aereo per tornare in provincia di Oristano dove ha in programma un altro live e domenica vola di nuovo verso il Veneto per un concerto a Padova, per imbarcarsi infine all’alba di lunedì con destinazione casa, Los Angeles.
In apertura del live odierno al Legend ci sono Lizi and the Kids, una band italiana prodotta dallo stesso Gilby. Partiamo dunque da Lizi – una sorta di giovanissima Joan Jett nostrana – e, a un certo punto della chiacchierata, passeremo a Izzy.
Come sei finito a lavorare con una ragazza del nostro Paese, producendo Keep Walking, il disco di Lizi and the Kids? Grazie ad Alvise (il promoter degli show italiani, nda). È stato lui a suggerirmi di lavorare con lei, sapendo che avevo già prodotto band simili tra power pop e pop-punk. Così ho ascoltato alcune sue canzoni on line, capendo subito che ha un buon orecchio, scrive bene ed è molto professionale. All’inizio è stata un po’ dura con l’inglese, ma anche per questo è stata una bella sfida. Oltretutto Lizi è molto dolce, e quando è venuta in America è diventata subito amica di mia figlia.
Anche tua figlia Frankie suona, ha una band pop-punk, Frankie and the Studs. È in qualche modo influenzata dalla tua musica? Direi che è influenzata da me più per come affronta le performance live e si relaziona col pubblico che per la musica in sé. Ogni tanto vado a vedere i suoi concerti e le sento dire sul palco cose che sicuramente ha preso da me. Ma a lei piacciono cose diverse, tipo i Paramore o i Green Day, il punk-rock più moderno. Non ama troppo il rock tipo Guns N’ Roses o Metallica.
Ma pensi che una band italiana come Lizi and the Kids possa funzionare in America? Certamente! Lei è giovane, ma è straordinaria. Ha ancora molto da imparare, deve suonare tanto dal vivo, le toccherà fare concerti buoni e concerti meno buoni. Ma sicuramente sì, può funzionare molto bene.
Cosa ne pensi del pop-punk contemporaneo, ti piace? Proprio grazie a Lizi e mia figlia ho conosciuto cose nuove, tipo Machine Gun Kelly: lo capisco, ma non è la mia tazza di tè. In generale, credo che ora la musica abbia troppe categorie. Se ascolti un disco dei Queen ci trovi dentro country, hard rock, metal, pop, davvero un po’ di tutto. Mentre adesso ci sono tante, troppe etichette: o fai pop, o punk, oppure metal. Credo che tutti dovrebbero essere invece un po’ più versatili.
Nel tuo ultimo album, The Gospel Truth, c’è una canzone che si chiama Rock and Roll Is Getting Louder. È un riconoscimento del buono stato di salute del genere, anche grazie a tante band con donne alla voce, come Lizi o tua figlia Frankie? Vero, ci sono tanti buoni gruppi rock and roll con voci femminili e quel pezzo parla proprio dello stato attuale della musica, ma quando scrivo le canzoni non voglio che siano troppo palesi, mi piace che le persone ci pensino un po’ su mentre le ascoltano. Comunque sì, la gente diceva che il rock and roll era morto, che le chitarre erano morte, ma se band come Metallica, Guns N’ Roses o Rolling Stones continuano a fare sold out negli stadi, significa che il rock and roll è in ottima forma.
Come costruisci la scaletta per un concerto come quello di stasera? Sono qui con la mia band solista (un power trio con Troy Patrick Farrell alla batteria ed EJ Curse al basso, nda) e quindi scelgo pezzi del mio repertorio e poi un po’ di cover: Rolling Stones, Thin Lizzy, GNR… e ancora Rolling Stones (ride).
A proposito dei Rolling Stones, tu sei un loro grande fan. Una curiosità: come sei finito a suonare il pianoforte su una cover di Street Fighting Man nel disco dei Chesterfield Kings Let’s Go Get Stoned? Ero a Rochester, la loro città, per una guitar clinic alla House of Guitars, un bellissimo negozio di chitarre vintage dove lavorava il loro chitarrista Andy Babiuk, che mi disse: «Stiamo registrando una canzone dei Rolling Stones, ci piacerebbe avere anche te perché sappiamo che sei un loro fan, ma abbiamo già fatto tutte le chitarre…», Allora gli ho risposto: c’è un piano? Fatemi suonare il piano!
Hai mai avuto occasione di conoscere i Rolling Stones o suonare con loro? Suonare con tutti loro mai, però li ho conosciuti e mi è capitato di suonare con qualcuno di loro, tipo Ron Wood.
Stasera hai in scaletta pezzi del tuo primo gruppo, i Candy? No, nessuna canzone dei Candy perché non se li ricorda nessuno! È passato davvero tanto tempo… Preferisco fare altri pezzi che mi piacciono, con cui ho un legame più forte, come per esempio Monkey Chow degli Slash’s Snakepit perché è un pezzo che ho scritto io stesso. Oppure cose tipo Knockin’ on Heaven’s Door o Dead Flowers, che con i Guns cantavo io. Sai che una canzone dei Candy era stata coverizzata anche da GG Allin?
Certo! Kids in the City trasformata da GG Allin in Sluts in the City! Ti piaceva la sua versione? Non direi proprio che mi piaceva, ma diciamo che era divertente.
E invece quanti pezzi fai della band che avevi prima di entrare nei Guns N’ Roses, i Kill for Thrills? Almeno uno, Motorcycle Cowboy…
Perché è quello che sei, un cowboy in motocicletta! Sì, sono appena stato in Sardegna con mia moglie, tutta la settimana in moto.
Ricordi la prima moto che hai avuto? Una Honda Trail 70, la usavo per andare al lavoro in un negozio di musica. Ma la mia prima vera, grossa Harley l’ho presa nel 1989.
Quante Harley hai ora? Quattro: una del 1941, poi una del 1965, una del 1970 e una più nuova del 2019.
Ma hai più moto o più chitarre? Decisamente più chitarre! Anche se ne ho vendute una decina, ora ne ho forse 70.
E hai ancora la tua primissima chitarra? No, perché la mia prima Les Paul mi è stata rubata sul palco, mentre ne stavo suonando un’altra durante un concerto. Era l’inizio degli anni ’80, molto prima dei Candy. Ma la Les Paul nera che vedi nei video dei GNR è la stessa che suonavo nei Candy.
Hai tenuto tante chitarre del periodo con i Guns N’ Roses? Ne ho venduta qualcuna, ma le ho quasi tutte.
Come scegli i pezzi dei Guns da fare dal vivo? Probabilmente è tutto quello che vogliono ascoltare i fan… È molto semplice: Axl ha una voce incredibile, unica, è molto molto più bravo di me (ride). Io posso fare solo quelle che riesco a cantare, certo non Sweet Child o’ Mine. Così canto It’s So Easy, qualche volta Patience, ci è capitato di fare Civil War… Ma non posso certo cantare grandi hit come Welcome to the Jungle. Se i fan chiedono insistentemente proprio Sweet Child o’ Mine, magari la facciamo cantare al pubblico perché è davvero troppo alta per me.
Cosa ricordi dei tuoi concerti in Italia con i Guns? Prima di tutto ricordo benissimo le magliette che ci aveva fatto Versace per quel tour, erano fighissime, ma purtroppo non ce l’ho più. E poi ricordo anche che andando verso lo stadio vedevo il merchandise contraffatto che sembrava meglio di quello ufficiale! Continuavo a chiedere: ma com’è possibile? E mi rispondevano: taci (ride).
Ma senti ancora gli altri Guns N’ Roses, Slash e Duff? Sì e no, ogni tanto ci mandiamo qualche messaggio, tipo per farci gli auguri di buon compleanno o cose del genere…
Una domanda sulle stravaganze dei Guns N’ Roses. Nella sua autobiografia, Matt Sorum racconta che tu e Duff avete fatto uno scambio: hai barattato una tua maglietta che gli piaceva con la sua macchina, è vero? Certo (ride)!
Ma che maglietta era?! Era una maglietta nera di rete che indossavo durante i miei primi giorni nel gruppo, a Duff piaceva molto e la prendeva spesso in prestito… Un giorno gliel’ho chiesta indietro e lui mi ha risposto: perché non facciamo uno scambio? Eravamo andati insieme alle prove con la mia macchina, che era una Mustang del ’65. Quella che per molti era un’automobile classica, per lui era vecchia e scassata. Così qualcuno da dietro disse: «Allora fatti dare una macchina, no?». Gliel’ho chiesta, e mi ha dato in cambio la sua Corvette!
Ce l’hai ancora? No, l’ho venduta. Ma eravamo nel 1993 o ’94…
Qual è stato il miglior momento che hai vissuto con i Guns N’ Roses? Ci sono stati tanti momenti splendidi, ma forse il migliore per me è stato quando abbiamo suonato per la prima volta in Argentina. Il pubblico era davvero folle, ai tempi sembrava che per noi ci fosse un clima da Beatlemania, era un po’ come se fossimo Elvis. Tutti i concerti erano straordinari, ma quelli in Argentina sono stati davvero i più assurdi.
E il momento più basso con loro? Così come ci sono stati tanti alti davvero alti, ci sono stati anche tanti bassi davvero bassi. Forse tornare a casa dopo quel tour è stato il momento peggiore. Eravamo tutti stanchi, era stata una tournée lunghissima, ma nessuno voleva smettere perché sapevamo che, una volta finito il tour, sarebbe finito tutto davvero. E così è stato, almeno per un po’.
Tu hai sostituito Izzy Stradlin, che dopo i Guns n’ Roses è diventato una specie di fantasma. Lo senti ogni tanto, hai idea di cosa faccia o dove sia? Sinceramente non ho idea di dove sia, non lo sento da non so neanche quanto tempo. Considera che Izzy era mio amico prima che io entrassi nel gruppo, era il membro dei Guns N’ Roses che preferivo, quello con cui mi identificavo, avevamo tante cose in comune. Quando ha pubblicato il suo primo disco solista l’ho comprato subito, anche perché mi piaceva tantissimo il chitarrista che suonava con lui, Rick Richards dei Georgia Satellites.
Ascolti ancora cose tipo i Georgia Satellites? Sì, li stavo ascoltando l’altro giorno in moto girando la Sardegna, mi piace soprattutto il loro secondo album!
Il nuovo romanzo di Mimmo Parisi è Il suo nome è Bono Vox (LINEA-R, pag. 260). Il libro è in uscita il 15 luglio.
Di Rossella B.
Dell’autore si ricordano, fra gli altri, le pubblicazioni inerenti a titoli come All’ombra di Diabolik (nato per i sessant’anni del personaggio delle sorelle Giussani) e Il quinto Van Halen che si avvale dell’infuocato scenario rock di Los Angeles, negli anni ottanta.
Trama
Due fratelli ucraini, Sergey e Denys, trascorrono la loro infanzia in un decrepito istituto dell’est, con l’unica distrazione di un vecchio film di Charlot, Il monello. Non amano quei muri che li separano dall’esterno, vagheggiano di essere accolti da un vagabondo come quello del film. Con l’amico Pyotr fanno l’esperienza di una fallimentare evasione.
Ormai adolescenti sono adottati, il primo da un’aristocratica famiglia russa, il secondo da una ucraina. Alcuni mesi prima che la Federazione Russa invada l’Ucraina, perdono i contatti. Sotto il chiasso malefico delle bombe, Denys incontra Alexandra, la ragazza che gli dà un motivo per non correre sbigottito contro il fuoco nemico.
Intanto il vocalist Bono Vox e il chitarrista ‘The Edge’, attirano l’attenzione mondiale sull’invasione dell’Ucraina. Sullo sfondo disperato del conflitto, i due fratelli riescono inaspettatamente a incontrarsi; emozionati rivedono su YouTube una delle scene del loro film preferito. Ma per Sergej quella è l’ultima volta.
«Un romanzo deciso e attuale per una guerra inaspettata e inattuale.»
Il 25 febbraio 2023 al Teatro Comunale di Thiene arriva Eugenio Finardi, che porta sul palco il suo “Euphonia Suite Tour”. E' denominato suite proprio perché si tratta di un unico percorso musicale, un lungo brano in cui si fondono diciassette nuove canzoni. “Una notte in Italia” è il singolo che ha anticipato la recente uscita dell’album al quale, il cantautore milanese, ha dedicato energia e verità emotiva. Un’occasione per i fan per ascoltare dal vivo anche i grandi successi dell’artista.
EUGENIO FINARDI - EUPHONIA TOUR 2023 Teatro Comunale - THIENE (VI) sabato, 25 febbraio 2023 alle ore 21:30
Biglietti da 16,50 €: https://www.vivaticket.com/it/ticket/eugenio-finardi
Lo spettacolo
Una suite che incorpora i brani in un “Flow”, un flusso ininterrotto che, attraversando vari stati emozionali, accompagna l’ascoltatore ad uno stato quasi trascendentale. “Euphonia” è un’esperienza che va al di là della normale sequenza di canzoni, legandole e fondendole nell’improvvisazione e nel mistero dell’enarmonia, cioè la magica capacità delle note di cambiare senso e funzione a seconda della tonalità. Il progetto è frutto dell’intesa con due straordinari musicisti. Mirko Signorile che intesse un suo continuum spazio temporale attorno alla massa gravitazionale delle mie melodie in contrappunto con le traiettorie del sax di Raffaele Casarano, creando con sapienza armonica congiunzioni sorprendenti. Il Flow si sviluppa spontaneamente in un’interpretazione ogni volta unica e diversa sul canovaccio delle canzoni di Finardi, con qualche omaggio ai suoi autori più cari, da Battiato a Fossati, dando un respiro più ampio alle emozioni e che permetterà di condividere un’intensa esperienza collettiva. “La vita è l’arte dell’incontro”, dice Vinicius de Moraes e per i musicisti questo è ancora più vero perché la musica è un linguaggio universale che non necessita di traduzioni ma di cui ognuno ha un proprio personalissimo accento. Ecco, quando Raffaele Casarano, Mirko Signorile e io ci incontriamo attorno ad un pianoforte si crea un lessico particolarissimo e intrigante. Un concerto/esperienza di grande energia ma anche di grande delicatezza e verità emotiva.
Eugenio Finardi (Milano 1952) è un cantante e musicista, autore e compositore italiano tra i più noti. Basta dire che iniziò la sua carriera negli anni settanta incrociando e collaborando con i maggiori protagonisti della scena artistica milanese. Da Demetrio Stratos a Fabrizio De André, in un humus culturale che comprendeva Battiato, Battisti AREA, PFM, Carmelo Bene, Mogol, Gianni Sassi, Dario Fo, Claudio Rocchi, Camerini… la lista sarebbe infinita. Da ormai vent’anni ha lasciato il mondo della “Musica Leggera” per dedicarsi ai più svariati progetti speciali, seguendo la sua insaziabile curiosità musicale, Con Francesco Di Giacomo incide un album di FADO, traducendo Amalia Rodrigues. Segue ANIMA BLUES, un tour e un album che hanno stupito e convinto. IL CANTANTE AL MICROFONO un progetto di musica contemporanea con il sestetto SENTIERI SELVAGGI diretto da Carlo Boccadoro su musiche di V.Visotsky riscritte da Filippo Del Corno. Il suo eclettismo e la sua duttilità gli hanno permesso di affrontare e fare suoi i più diversi generi musicali. Con EUPHONIA raggiunge una maturità e una libertà d’intenti che solo l’età può dare.