È quasi una consuetudine quella del cantautore bolognese Mimmo Parisi arrivare con novità letterarie, ed oggi parliamo di Il figlio del drago.
Come già nel gennaio dell’anno scorso, giorno più giorno meno, si
presenta con una storia nuova. D’altra parte per lui è una situazione
temporale, quella della divulgazione nel primo mese, che porta a buoni
risultati.
Infatti, “Sono tornati i braccialetti rossi”,
libro che apriva il suo scorso anno da autore, gli ha fatto intascare
un apprezzabile nugolo di fan. Questa volta, comunque e in riferimento
alle tematiche, si cambia argomento. Nel volume “Il figlio del drago”
(Editrice GDS, pagine 224, distribuzione Mondadori) pubblicato il 10
gennaio 2018, l’interesse per i piccoli personaggi lanciati dallo
spagnolo Albert Espinosa cede spazio a una figura singolare.
Vlad Dracul
È indubbio che, il nome del
protagonista, sia chiaramente di ispirazione oscura. Insomma, si presta
senza grandi resistenze all’ossimoro chiaro/scuro. Il primo termine
ricorderà che è proprio, esattamente, nemmeno una lettera in più o in
meno, il segnale nominale con il quale è definito il personaggio
principe di uno dei più fortunati e famosi romanzi di tutti i tempi.
Ovvero, quel Dracula – per l’appunto, alias Vlad Dracul – reso immortale dall’irlandese Bram Stoker,
nel 1897. E, con questo ultimo punto, è anche esaurito il secondo
termine di paragone: tra castelli plumbei, volatili notturni e arazzi
gotici, non pare possa esserci dubbio sull’aspetto “scuro” della
questione.
La storia
L’autore, va da se, non ripercorre il
tracciato fatto dal più che fenomenale scrittore ottocentesco. L’idea di
base del cantautore emiliano Mimmo Parisi è invece quella di usare il
fil rouge segnato nel tempo dalla narrazione di marca gotica – con una
scrittura inframmezzata da, a volte ironia, a volte capacità critica –
per realizzare un romanzo dalle atmosfere cupe, sicuramente, ma di una
cupezza associata ai tempi attuali. La stessa che,
nascosta tra le pieghe di una vantata società emancipata, si presenta
ammantata di una razionalità di accatto e, nel romanzo, fa dire a uno
dei suoi rappresentanti:
«Non è questione di razzismo.
Semplicemente, dopo quello che abbiamo sudato vogliamo tenere fuori
gente che potrebbe portare sbandamenti nella nostra comunità» si
giustificò la voce.
Il piccolo capostazione della piccola stazione del piccolo paese, aggiunse:
«A proposito di stranieri, proprio
oggi ne è arrivato uno. Non è nero. Tuttavia, per me, è un
extracomunitario. Magari uno dell’est… che poi è la stessa cosa di
quelli che sbarcano a Lampedusa. Secondo me è un rumeno.»
Insomma, un tentativo fatto sull’orlo
dell’egoismo e spacciato come auto difesa. “Il figlio del drago” è
sicuramente una sorta di affresco abitato da vari personaggi – July, Hans, il maresciallo, il sindaco, Giulia – rappresentativi dell’attuale società. E di quella proiettata nell’immediato futuro.