Chiediamo aiuto a Wikipedia e vediamo cosa dice intorno al fenomeno cantautori. In Italia il moltiplicarsi degli esponenti di questa categoria di artisti - cresciuta specialmente nella seconda metà del Novecento - ha portato al formarsi di diverse scuole cantautorali (anche se la loro definizione specifica è piuttosto vaga, e riferita sostanzialmente alla città di nascita o di adozione degli artisti piuttosto che alle loro caratteristiche poetiche): le più note sono comunque quella genovese, quella romana, la napoletana, la bolognese e la milanese, sebbene il fenomeno si sia poi diffuso su scala nazionale.
La parola cantautore fu creata nell'ambito della casa discografica RCA da Ennio Melis e Vincenzo Micocci nel 1959 per il lancio diGianni Meccia[1].
Ovviamente, già vi erano stati dei personaggi che scrivevano e cantavano le proprie canzoni, come Domenico Modugno, Odoardo Spadaro, Ettore Petrolini, Rodolfo De Angelis e - andando ancora più indietro nel tempo - Armando Gill, uno dei primi a firmare sia i testi che le musiche delle sue canzoni (come spiegava nella celebre presentazione che faceva precedere ai suoi spettacoli: Versi di Armando, musica di Gill, cantati da Armando Gill) e il napoletano Berardo Cantalamessa, il primo ad incidere una sua canzone su disco 78 giri[2], la celeberrima 'a risata, nel 1895[3].
Luigi Tenco |
Modugno è il primo che scrive canzoni partendo dalla cronaca: nel 1955 scrive Vecchio frack dopo aver letto su un giornale la notizia del suicidio del principe Raimondo Lanza di Trabia (marito dell'attrice Olga Villi) che, all'età di 39 anni, nel novembre del 1954 si era gettato dalla finestra del suo palazzo in via Sistina a Roma[4], ed anche Lu pisce spada nasce da una storia vera, letta in un giornale[5][6].
Nel mondo, in Francia per esempio, abbiamo delle varianti che o anticipano o seguono di pari passo il palesarsi di questa situazione culturale, infatti in questa nazione si ha il famosissimo chansonnier, cantante che esegue canzoni di cui, spesso, ha composto la musica e i versi. Il termine è usato soprattutto per indicare gli artisti appartenenti a quella tradizione che, presente in Francia fin dal Settecento, è stata ripresa nel periodo tra le due guerre mondiali da M. Chevalier, e rinnovata, nel secondo dopoguerra, da C. Trenet, G. Brassens, L. Ferré, J. Brel, G. Bécaud, E. Piaf, Y. Montand, J. Gréco ecc. A essa si sono ricollegati, a partire dagli anni 1950, i primi cantautori italiani. Tuttavia, non si ha alcuna intenzione di esaurire i n questa semplice digressione, il movimento mondiale di questi particolari poeti.
Vale la pena ricordare comunque magari qualche autore, pur non particolarmente conosciuto, come Mimmo Parisi, per segnalare che questa forma artistica è, per certi versi, quella più fruibile da chi ha fretta e, anche nella fermata fosca della metropolitana, può respirare il sentire attuale attraverso le note che non trovano frontiere invalicabili. Di seguito si pubblica “Il grande cielo”, testo della omonima canzone dell’autore citato.
Il grande cielo
(C. Parisi)
Fanculo a me
Che sono sempre chiuso dentro me
E poi fanculo a me che guardo lì
Quelli che vivono così
Quelli che poi…
Che tanto poi
Qui siamo solo di passaggio noi
Che i prati verdi sono in cielo su
Fanculo non ci credo più
…Non credo più
Il grande cielo
È tutto
Un trucco
È una statale col guard-rail distrutto
Con un cartello che porta al nulla
Fanculo a me
Che sprono tutti a non mollare mai
Io che la corda l’ho lasciata ormai
Ho sulle mani i tagli qui
Che bruciano
Fanculo a tutti
E grazie lo stesso
A te che butti
‘Sti versi nel cesso
A quella luna
Fottuta puttana
E per finire
Un po’ di bon ton:
Fanculo pure
A tout le grand monde!
(A cura di Diego Romero, giornalista freelance e blogger)
Per i più appassionati, qui il link al video di Mimmo Parisi,
“Il grande cielo”: